
Impronte allarga la propria famiglia e vi presenta, sotto forma di intervista, Dario, il referente della nostra nuova linea di viaggi Wild Experience.
Ciao Dario e benvenuto, raccontaci com'è iniziato il tuo amore per la natura.
Ciao Valentina e ciao a tutti voi viaggiatori vorrei iniziare questa conversazione parlando di una foto del giugno 1971 che ritrae un bambino di 10 mesi, scalzo e nudo in un campeggio di Bordighera in Liguria. Il mio imprinting credo arrivi da lì e non posso che ringraziare i miei genitori per avermi cresciuto in maniera ruspante. Ricordo i fine settimana vicino a qualche fiume in montagna in tenda, le prime passeggiate nei boschi e le prime cime facili nei dintorni di Torino, mia città natale e mio “campo base” attuale; e ricordo bene l'emozione provata al mio primo avvistamento di uno stambecco nel Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Da giovane uomo ho continuato a frequentare monti e sentieri, il lavoro in fabbrica ed una fiat 127 mi han dato la libertà di ampliare gli orizzonti dapprima italiani e poi europei. Finchè non si è presentata l'opportunità di realizzare il vero sogno, andare in Africa.
Ecco, l'Africa...ti definisci un portatore sano del Mal d'Africa, da quanto la bazzichi e com'è stato l'impatto con il continente nero?
Guarda, nei giorni scorsi sistemando vecchie scartoffie ho trovato il mio primo passaporto con dentro la matrice dell'assegno staccato per comprare il biglietto aereo Torino – Ouagadougou, in Burkina Faso; l'importo è in Lire....
Di quel viaggio, una missione di un mese nel villaggio di Nanoro purtroppo troncata per gravi problemi familiari ho 3 ricordi indelebili: gli avvoltoi appollaiati sulla tettoia che faceva da riparo al “macellaio” del villaggio; l'odore, un misto di aria calda, polvere, frutta in decomposizione e afrori umani; il tramonto tra i baobab mentre l'auto mi riportava a Ouagadougou per tornare in Italia dopo solo una settimana di permanenza. Ero in totale confusione ma promisi a me stesso che avrei rivisto tutto ciò che stavo lasciando in fretta e furia.
L'impatto è stato decisamente devastante, potrei definirla una “caduta da cavallo sulla via di Damasco”
Sei qui a raccontarci di Africa, ne deduco che sei riuscito a mantenere la promessa.
Mi reputo molto fortunato oltre che testardo. Sì, l'anno seguente prenotai un viaggio in Botswana che a malapena sapevo dove fosse...viaggio che a pochi giorni dalla partenza venne annullato e in alternativa al rimborso mi proposero la Namibia. Altra caduta da cavallo devastante!! Al mio rientro nonostante io non sia un fotografo ricordo che spesi oltre 300.000 lire per sviluppare centinaia di foto; ma sopratutto tutti mi dissero che il mio sguardo era cambiato. All'epoca lavoravo come operatore sanitario per cui riuscii a tornare giù solamente dopo un anno durante le vacanze e finalmente andai in Botswana. Indovina da dove (nuovamente) caddi??

Un cavallo decisamente recalcitrante direi. Che poi nell'Africa subsahariana nemmeno ci sono i cavalli giusto?
Esatto, son praticamente assenti ma di questo ne parleremo in uno dei miei approfondimenti sul blog. Io invece ero ormai pronto al classico mollo tutto e la vita mi pose davanti un bivio: assunto a tempo indeterminato presso l'Asl di Torino o l'opportunità di andare in Kenya per conto di una ONG di Torino in un progetto in una delle cento baraccopoli di Nairobi. Scelta difficile ovviamente ma che per fortuna mi portò a vivere il mio personale sogno africano. Fu un'esperienza molto forte che mi aprì un mondo sconosciuto, entrai in contatto con il rovescio della medaglia, l'Africa che il turista non vede né percepisce, quella del tentativo quotidiano di mettere insieme il pranzo con la cena e magari acqua potabile.
E come sei riuscito a far coesistere questi due mondi paralleli?
Il mio rientro dopo un anno in Africa, dove tra le altre cose studiai il Kiswahili, fu piuttosto burrascoso e vissi un periodo di notevole confusione. Ma continuai a collaborare a progetti in Mali, Senegal, Burkina Faso e Marocco e nel frattempo iniziai a coordinare tour, Algeria e Libia piuttosto che Tanzania e Namibia per citare i primi che mi vengono in mente; diciamo che camminando in una direzione pian piano si srotola la vita davanti ai propri passi.
Negli anni poi ho collaborato con altre Associazioni e ONG e son partito sia come volontario che come espatriato internazionale per Paesi come la Tanzania, l'Angola ed il Sud Sudan; ed ho girovagato in lungo e in largo per il continente utilizzando animali da soma per i trekking in Algeria, piroghe sui fiumi Niger e Rufiji, vecchie Peugeot 504 station wagon e Toyota iper attrezzati, treni, camion, bus e compagnie aeree locali. Questo percorso iniziato oltre venti anni fa è tuttora la mia vita.
Vita che ora ti ha messo in contatto con Impronte dove proponi viaggi realizzati in maniera alternativa. Cosa deve aspettarsi il viaggiatore che dovesse decidere di partire per una delle tue avventure africane?
Essere attore protagonista e non “solamente” spettatore della vacanza. Son profondamente convinto che sia questa la sostanziale differenza tra i viaggi normali e quelli da me accompagnati.
E tengo a precisare che non significa essere più fighi o più qualcos'altro, significa voler sperimentare sensazioni ed emozioni diverse.
Dopo una giornata passata in un Parco a cercare e fotografare animali ci ritroveremo intorno al fuoco a raccontarci storie africane, facendo a meno delle comodità a cui siamo abituati per assaporare fino in fondo l’esperienza del bush; montare la tenda, cucinare, lavare piatti e posate, sentire sulla propria pelle il caldo o il freddo, provare l'emozione del buio profondo. E le stellate che vedremo, il rumoroso silenzio della savana che ci circonda, lo schianto di un ramo lontano che potrebbe essere un elefante che si nutre, o il verso notturno degli ippopotami, queste, e tantissime altre, sono emozioni che semplicemente non si possono provare se a fine giornata rientriamo nella comfort zone a cui siamo abituati.
In ultimo, tre parole per riassumerti?
Passione, esperienza, tanta gioia